Giuseppe Mortara (2002)

L’uomo in rivolta che si rinnova. Paolo Parisi ne è l’alfiere artistico.

Nella sua creatività non me lo vedo in trincea, ma sul campo, seppure solitario, a elaborare azioni di attacco, simulazioni, per confondere, bloccare, fare riflettere quella socialità che con l’avanzare del consumismo e del condizionamento attraverso tutti i sistemi di comunicazione di massa, se ne va sempre più alla deriva.

Quale stimolazione pittorica, segnica e simbolica, se non parallela a questo processo corrosivo sempre più incombente, se non procedere al suo fianco con coraggio e baldanza.

Martin Heidegger, già negli anni cinquanta, scriveva all’amica Hannah Arendt “[…] Il singolo non vede nel centro del vortice del mondo, e tanto più vi è coinvolto, tanto meno ci vede […]”. Già da allora il processo di globalizzazione si faceva vivo e il filosofo se ne faceva carico nella sua logica fenomenologica.

Così Parisi, con un balzo mentale di razionalità, all’assurdo irrazionale, entra in una scuola che è la strada, con i suoi muri che corrono per tutta la città, e lui a lanciare messaggi, a scoordinare ciò che di ordinato-simulato è a piene mani offerto.

Su queste panoramiche spaziali, nonché nelle sue creazioni su carta e tela, l’artista si destreggia dall’allegoria al simbolo segnico, dalla figurazione essenziale al getto infornale, dove il suo fulcro creativo si scarica su cromi evocatrici.

Da questo stato e sensazioni creative, il suo sogno-realtà, ma anche la sua affabulazione, la sua presa di coscienza, l’ironia della plastificazione, la maschera dell’ambiguità che l’artista volutamente lascia intravedere e con la quale gioca innanzi allo specchio del tempo e il “prossimo che lo circonda”.

Ecco l’invito alla verità, o almeno alla sua spontanea ricerca, al concetto di libertà, e soprattutto alla forza che deve essere indomabile per ogni essere che deve sapere, e per sapere potere pensare.